giovedì 23 aprile 2009


“Il paesaggio sfigurato” è il sottotitolo di questa non rassegnata rassegna della sfiga, e delle speranze, del paesaggio italiano di Emiliani Vittorio
Il consumo di suolo nella nostra Italia, Giardino verde d’Europa, ha assunto ritmi inaccettabili, da autentica follia. Nel decennio 1990-2000 la superficie italiana libera si è ridotta di altri 3,1 milioni di ettari e 1,8 milioni di essi erano “Sau”, superifici agrarie utilizzate. Che sono sparite, inghiottite in una periferia senza verde, nei centri commerciali, negli outlet, nelle multisala e così via. I terreni agricoli, anche i più produttivi, sono dunque terreni in attesa di reddito edilizio. La campagna è in attesa di diventare periferia. O di venire lottizzata per seconde e terze case. Ne esce una Italia sfigurata per sempre. Sorte tremenda se pensiamo che appena due secoli fa (un soffio per la storia) Wolfgang Goethe era ammirato degli italiani i quali avevano saputo “costruire” paesaggi mirabili, agendo con spirito e cultura da artisti - anche se erano contadini, mezzadri, capimastri - una “seconda natura” intrecciata a quella originaria, abbellendola persino: era la “natura naturata”, cioè antropizzata che non si contrapponeva ma si fondeva alla “natura naturans”, a quella cioè primordiale. Una cultura alta, demolita, distrutta da una idea bassa di “sviluppo” a tutti i costi, di mercato senza freni, da una sorta di paleo-capitalismo che dissipa brutalmente beni primari irriproducibili, fondamentali per la vita degli individui e delle comunità, ma anche per quel turismo culturale e naturalistico che è il solo che “tira” ormai e che ha prospettive di lungo periodo. Se non si semina cemento appena fuori dalle mura delle città d’arte. Siamo stati ammirati nel mondo come il Giardino verde d’Europa e lo siamo sempre meno. La cartina dell’Istat ci mostra che le zone libere si riducono ormai alle vette alpine, all’Appennino più alto; all’interno di alcune regioni prevale il colore bruno di una conurbazione continua, senza più distinzione fra città e campagna. Nonostante ciò si comincia a costruire nei parchi regionali con leggi che consentiranno di alzare capannoni industriali praticamente ovunque lungo strade e autostrade. Capannoni che sono già tanti e spesso vuoti, frutto di speculazioni cieche e fallite, pegni per le banche e così via. In spregio al paesaggio, all’agricoltura, alle future generazioni condannate alla bruttezza diffusa.

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